Lo scorso 4 febbraio, poco dopo mezzogiorno, presso un centro di formazione per adulti di Obrero, città a ovest di Stoccolma, è avvenuta una sparatoria con 11 vittime e 15 feriti; farebbe parte dei morti anche l’aggressore stesso che si sarebbe suicidato. Le motivazioni di questo attentato sono incerte, la polizia esclude a priori la presenza di associazioni criminali e terroristiche. Il killer trentacinquenne, infatti, secondo i media svedesi, non avrebbe precedenti penali di alcun genere, non era noto alle forze dell’ordine e non apparteneva a gang criminali; neanche il capo della polizia di Obrero, Robert Eid Forest, in conferenza stampa ha saputo fornire dettagli e informazioni sul movente di tale attacco.
Anche il padre dell’aggressore, interrogato dai reporter che lo hanno contattato nel momento in cui gli agenti hanno perquisito la casa dove si ritiene vivesse suo figlio, ha risposto semplicemente dicendo: “Non ne so nulla”. Molti i dubbi su quanto accaduto, c’è anche chi ha avanzato delle ipotesi sul suicidio dell’aggressore sostenendo che i servizi segreti del Paese abbiano qualcosa a che fare con la sua morte. Una cosa è certa: le vittime non sono mancate ed è stato un giorno infausto per tutti gli abitanti della città di Obrero. I video sul web mostrano decine di persone in fuga sul selciato innevato ed altre che si nascondono dovunque con il triste sottofondo di grida e spari. Questo attentato è stato definito dal premier Ulf Kristersson come “l’episodio più sanguinoso di sparatoria di massa di tutta la storia svedese”. Due ragazzi di 18 e 19 anni hanno raccontato di essere stati chiusi a chiave in classe dai bidelli non appena è scattato l’allarme, mentre la preside della scuola, Ingela Back Gustafsson, è corsa a rifugiarsi in un negozio vicino. In questo momento si è ancora in attesa di informazioni dettagliate e precise che possano fornire un quadro della situazione completo e definitivo.